Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Most recent articles

Cinzia

Posted in storie di ordinaria bellezza

Se quei nuvoloni in alto si stufano di questa brumetta che bagna la faccia, sai a che mi serve la mantellina.
Così riflettevo in un pomeriggio di luglio, che sembrava autunno, in Val di Rabbi, mentre percorrevo la strada sterrata imboccata a San Bernardo, che adesso, dopo un’oretta di salita lieve, era diventata una mulattiera.
L’ultima persona incontrata era uno di quei pastori indiani o pakistani o afghani, che ne so, che d’estate stanno in malga con le mucche, lavoro che nessuno, sulle Alpi, vuol più fare.
Ora la mulattiera si era fatta sentiero e aveva preso a salire con curve e tornanti.
Aveva cominciato a tuonare.
Mi aspettavo che il pastore sbucasse da dietro la curva, era il luogo ideale dell’agguato.
Arrivo alla svolta.
Il poco fiato che mi è rimasto si blocca.
Una coppia di cervi. Proprio davanti a me.
Il maschio, con un enorme palco di corna sulla fronte, le zampe anteriori ripiegate sotto la pancia.
La femmina, fiera e slanciata, quasi appaiata a lui.
Una coppia regale.
Un attimo, e i genitori di Bambi scompaiono nella bruma.
Quell’immagine di bellezza impaurita mi si è impressa sulle retine come un’istantanea.

Bellezza e paura.
La bellezza fa paura.
O è piuttosto la bellezza a dovere aver paura.
E la bellezza – come la paura –  si cura?

In un Paese come il nostro la bellezza non è mai sicura.
Un nuovo decreto legge consentirà di costruire in luoghi sotto tutela paesaggistica.
Le nostre coste, i nostri vigneti, i nostri boschi, le nostre pianure, i nostri borghi, le nostre paludi, i nostri uliveti, i nostri aranceti, i nostri laghi, i nostri fiumi, le nostre città, i nostri siti archeologici non sono per niente al sicuro.
In un Paese che potrebbe vivere di bellezza e per la bellezza, la bellezza ha paura e fa paura.

Cinzia Melis

 

Sara

Posted in storie di ordinaria bellezza

Camminavo in giardino, gli occhi stanchi, gonfi e un groppo qui, all’altezza della bocca dello stomaco. Mi fermai nei pressi del roseto per pura abitudine, alla ricerca di rametti secchi da staccare. Una sola rosa, coraggiosa, sfidava la stagione ormai passata. Mi avvicinai, invidiosa della sua vita, e solo allora la rosa mi svelò il suo segreto. Tra i petali un’ape addormentata (ma le api non dormono negli alveari?) e dunque morta, un’ape morta, lì, adagiata, serena, nel grembo profumato del fiore più nobile. L’ape aveva scelto la morte perfetta e il fiore l’aveva accolta. Me ne andai con la tristezza di chi ha spiato due innamorati.

Sara Beinat

Rossella

Posted in storie di ordinaria bellezza

“Non ce la facciamo Gaia.”
Lei è diversi passi dietro me, mi guarda scoraggiata e io soffro vedendola così.
Rigiro la cartina tra le mani.
Orologio, cartina, Gaia che rimane indietro…
Finalmente, dietro all’ultima curva larga, la punta del Marocco.
Attingendo non so quali forze, stiamo correndo verso le colonne d’Ercole. Un blu profondissimo da cui sbuca l’Africa con una sottile sciarpa di nebbia: e vento, vento dappertutto.
Stridono dei freni.
Un pullman è la nostra unica possibilità di raggiungere in tempo l’aereo verso casa…
Ma è troppo presto…
Gaia si sporge per afferrare la punta dell’Africa.
Un gabbiano spicca il volo verso il Marocco, restando in bilico tra i due mari.
I grilli scoppiano a cantare.
Vedo risolversi davanti a me tutto il tumulto che ci portiamo in viaggio.
A Gibilterra si arriva a fatica e si resta giusto il tempo per oltrepassarla.
Gibilterra ti chiama per correre, e planare delicatamente… oltre.
È la svolta per noi, Gaia, non più studentesse, non più bambine… passeremo anni divise, affronteremo correnti verso mari calmi e oceani in tumulto, non so come, Gaia, ma in qualche modo faremo.
Gaia si volta in silenzio.
“Andiamo?”

E via di corsa verso l’autobus.

Rossella Guidotti

Rita

Posted in storie di ordinaria bellezza

Un odore pulito
di panni stesi.
Bianchi.
Profuma di cannella
di alloro,
di zenzero e di vaniglia.

Danza la luce intorno al lampadario
e svela le maioliche
da terra fino al soffitto.

Alì è lì.
Prega.

Altri uomini
in ginocchio
ascoltano
cantano
pregano.

Disegno perfetto sulla tela di un pittore, senza sbavature.

D’improvviso passi rapidi, vivace vocio.
Piedini di corsa, come chiazze di colore sulla tela.
Piccoli corpi attraversano la stanza.
Un bimbo e una bimba.

«Papà» – urlano i bambini

Io guardo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica.
Un uomo in ginocchio e due bambini accanto. Non pregano i bambini, giocano. Capriole incuranti del silenzio e delle maioliche. Entrano ed escono dall’inquadratura. La bambina mi vede, capisce. Si mette in posa con le mani sui fianchi. È il nostro momento, tutto è perfetto.
Premo il pulsante.
Ma la pellicola si riavvolge su se stessa.
Con un gesto invito la bambina ad aspettare, apro la borsa, rovisto tra le mille cianfrusaglie, rovescio il contenuto della borsa sul tappeto. Dove l’ho messo? Tasca dei jeans? Destra? No! Sinistra? No! Dietro? No! Tasca della giacca? No. Tasca interna della giacca? Sì Eccolo.
Cambio del rullino.
Sono pronta.
Guardo attraverso l’obiettivo e vedo uno spazio vuoto.
Mi giro verso la porta, l’uomo e i bambini sono sulla soglia.
Alì si volta, sorride e quello mi sembra il sorriso più bello del mondo.
Troppo bello per scattare.

Istanbul. Moschea Nuova Yeni Cami. 1 ottobre 2012.

RITA

Laura

Posted in storie di ordinaria bellezza

Mi ricordo che eri bollente, ricordo i tuoi capelli bagnati di sudore, ricordo che eri bellissimo. Quanto ti era difficile raccontarmelo. Mi stavi dicendo un segreto. Stavi raccontando a me il tuo segreto e ci conoscevamo appena. Ho percepito il tuo dolore e la voglia che avevi di condividerlo con me. Avrei voluto esserci stata prima per te, così magari avresti avuto un po’ meno paura.

Era il marzo più freddo che ci fosse mai stato a Roma, ma c’era caldo con te nel letto. Eravamo due chicchi d’uva, io sdraiata e tu sopra, mi guardavi attraverso i tuoi occhiali spessi, e io ti ho detto che mi piacevano tanto i tuoi occhi.
Sei diventato tutto rosso, sudavi, tanto, sentivo i battiti del tuo cuore che rimbombavano nel tuo petto appoggiato sul mio.
Mi sono pentita immediatamente di avertelo detto, non potevo immaginare, non sapevo che avessi un segreto, che lo avessero i tuoi occhi che mi piacevano tanto.

? ok, lascia stare, scusa, no, davvero scusa, non dovevo…
? no, è che…
? cosa? … no, non, scusa non devi dirmelo se non vuoi…
? no! E’ che non so come fare a dirtelo senza sembrare patetico
? non sei patetico
? avevo un problema agli occhi…
? non sei patetico
? e poi un giorno questo problema è diventato un po’ troppo difficile per me, era troppo difficile da gestire per me…
? non sei patetico
? e ho avuto un trapianto…

Hai cominciato a raccontarmi cosa aveva significato, a quattordici anni, sentirti dire che saresti diventato cieco, e cosa avevi provato quanto ti avevano detto che potevi operarti… Io ti guardavo, guardavo i tuoi occhi dietro gli occhiali.
Avrei voluto esserci stata prima per te. Avresti avuto un po’ meno paura a quattordici anni.
Ti avevo strappato quella storia dalle labbra, forse troppo presto. Stavi raccontando a me il tuo segreto e ci conoscevamo appena. Mi ricordo che eri bollente, ricordo i tuoi capelli bagnati di sudore, ricordo che eri bellissimo.

Laura Rovetti